Riflessioni sul perché abbiamo molto da imparare dai genitori di bambini con Autismo.
Ogni generazione si lamenta dei suoi giovani:
“La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni. Non si alzano in piedi quando un anziano entra in un ambiente, rispondono male ai loro genitori…”
Socrate, 469-399 a.C.
Gran parte della sociologia e della pedagogia moderna concorda nel ritenere che in paesi come il nostro stiano crescendo generazioni di persone troppo protette dalla delusione, dal fallimento, dall’errore. Chiamano i genitori di questi ragazzi “genitori spazzaneve”.
Molti genitori ormai sono reattivi di fronte a ogni possibile caduta, fisica ed emotiva, dei figli e, non sempre potendo prevenire gli eventi avversi, puntano il dito verso chiunque o qualunque cosa generi ostacoli o presunte ingiustizie sul percorso della preziosa prole.
Ci dispiace che i bambini cadano o vengano spintonati dagli altri bambini alla scuola dell’infanzia, che vengano sgridati se rompono il giocattolo di un compagno. Se prendono una nota andiamo a protestare con gli insegnanti, se perdono un anno all’Università li premiamo aumentandogli la “paghetta”, così potranno fare quel corso di meditazione trascendentale che li aiuterà a studiare meglio.
Sembra ricchezza ma, forse, non lo è.
Può essere, invece, un’illusione di aiuto che sottrae esperienze indispensabili alla persona che cresce, creandogli, almeno potenzialmente un handicap sociale e psicologico.
Osservando il fenomeno dal punto di vista dei bambini, sappiamo che chi cresce così ha meno stima di sé, ambizioni medio-basse, capacità limitate di sacrificio, di concentrazione, di lavoro e di persistenza nel perseguire uno scopo.
Con l’atteggiamento dello “spazzaneve”, i genitori che hanno la fortuna di avere figli in buona salute, li privano dell’esperienza fondamentale del fallimento, dell’errore, dell’ostacolo da superare, della rinascita dopo una sconfitta. Insomma, evitano un graduale e fisiologico accesso al “fare da sé”, accettando i rischi e le sfide del mondo adulto.
Questo crea un paradosso che osservo nella pratica professionale: i genitori di figli con difficoltà di sviluppo sono più forti, più tolleranti rispetto alle frustrazioni dei bambini e meglio capaci di promuovere autonomia, costruendo perennemente “sfide controllate”, per il loro bene. Per il futuro.
Di fatto, il bambino autistico a cui vengano offerti trattamenti abilitativi, si impegna fin da piccolo, sostenuto da genitori e adulti esperti, per superare sé stesso. Ha obiettivi di apprendimento, esercizi da ripetere, situazioni da imparare a comprendere e linguaggi da padroneggiare. La sua famiglia deve studiare, cambiare, riorganizzarsi… e lo fa mentre soffre. I suoi fratelli (ci sono studi anche su questo: i fratelli delle persone con disabilità sono più ambiziosi, intelligenti e autonomi) apprendono per esposizione la maggior parte delle lezioni su ciò che è importante e utile nella vita.
Noi ricercatori abbiamo un debito con le persone autistiche: gli studi su di loro ci stanno aiutando a capire meglio il cervello, lo sviluppo umano e anche di cosa è fatta l’esperienza di crescita: esperienze belle e brutte. Relazioni, belle e brutte.
Noi genitori, invece, come gruppo generazionale e come società, dovremmo riconoscere il valore dell’esperienza acquisita ai loro genitori: la vita ha operato per loro come un setaccio, lasciando solo le questioni che contano, le decisioni veramente importanti, le preoccupazioni concrete, le battaglie da combattere e le amicizie vere. Il loro esempio offre buon senso, prospettiva e, potenzialmente, modelli di buona genitorialità utili a tutti gli altri.
Mi dispiace, ogni tanto, per quei genitori “fortunati” che hanno figli a cui tutto sembra essere andato “liscio”: ho paura per loro, ho paura per il loro futuro, per come affronterebbero un imprevisto. Forse è una “deformazione professionale”, o forse un paradosso su cui pensare.
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